PERCHÉ CHI VIOLA LA QUARANTENA NON PUÒ ESSERE ACCUSATO DI “PROCURATA EPIDEMIA”

PERCHÉ CHI VIOLA LA QUARANTENA NON PUÒ ESSERE ACCUSATO DI “PROCURATA EPIDEMIA”

In questi giorni, a fronte della richiesta di una stretta sui controlli per chi viola la quarantena ed è ammalato di coronavirus, si è parlato della possibilità di denuncia per un reato molto grave: procurata epidemia. Qui spieghiamo come non sia giuridicamente ammissibile.

La Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha chiesto alla Polizia e ai Prefetti di tutta Italia “una nuova stretta sui controlli di chi viene sorpreso in strada e non può giustificarsi”. Il contagiato che “mente” dichiarando di “non essere in quarantena” potrebbe essere denunciato per “procurata epidemia che prevede fino a 12 anni di carcere” (tra l’altro, https://www.corriere.it/cronache/20_marzo_17/punizioni-piu-severeper-chi-continua-uscire-a7b30752-6892-11ea-9725-c592292e4a85.shtml).

Vengono dunque evocate figure di reato gravissime, punibili con pene astronomiche.

Facciamo un po’ di chiarezza.

Il nostro codice penale prevede due delitti: l’Epidemia dolosa (art. 438 c.p.) e l’Epidemia colposa (art. 452 c.p.).

Si tratta di due reati introdotti nel 1930 (che non c’erano cioè nel Codice Zanardelli) per sanzionare severamente attacchi di natura bellica o terroristica realizzati diffondendo germi patogeni (all’epoca, l’evoluzione scientifica aveva per la prima volta portato a disciplinare queste ipotesi con la legge penale).

Si comprende la durezza delle pene previste.

Il primo delitto, l’Epidemia dolosa (art. 438 c.p.) punisce con l’ergastolo chi volontariamente “cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni” (ossia microorganismi capaci di produrre patologie infettive). In origine, era stabilita la pena di morte se per il contagio morivano almeno due persone.

E’ il caso classico della diffusione intenzionale della malattia – su portata di massa – mediante azioni di guerra o di terrorismo. Quindi nulla a che vedere con quanto accade in questi giorni.

Il secondo delitto, l’Epidemia colposa (art. 452 c.p.) punisce con la reclusione da uno a cinque anni chi causa l’epidemia non volontariamente, ma con colpa, dunque per negligenza, imprudenza o imperizia (il riferimento alla pena di 12 anni di reclusione, riportato dai mass media, è errato; si tratta di una norma di legge abrogata insieme all’abolizione della pena di morte nel lontano 1944).

Qui rientrano certamente i casi di errata gestione dei germi da parte dei soggetti che sono legittimati a trattarli, come le imprese farmaceutiche. Un esempio classico è quando si violano le regole specifiche nel trattamento di un microorganismo patogeno e così si scatena l’epidemia o la si rafforza. Di fatto, agli operatori sfugge qualcosa per negligenza.

In definitiva, per capire se siamo di fronte a questi gravi delitti (Epidemia dolosa o colposa), bisogna valutare la portata quantitativa del pericolo innescato dalla condotta del soggetto. Cioè verificare se vi sia stato un comportamento capace di diffondere il morbo a un “numero indeterminato e notevole di persone” e in tempo ristretto (Cassazione Sezione IV penale, Sentenza n. 9133 del 28.2.2018, udienza del 12.12.2017; Tribunale di Savona, 6.2.2008, in Rivista Penale, 2008, 6, 671). La giurisprudenza usa il termine “diffusibilità”.

Siamo quindi assai distanti dal caso del contagiato da Covid-19 che, consapevole del suo stato di salute, cammina per strada e, fermato dalla Polizia per un controllo, dichiara di essere sano. Si tratta, in concreto, di un comportamento che non ha la “diffusibilità” di cui parlano i Giudici.

Egli incorrerà in altri reati.

Se non contagia nessuno:

–     inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità (art. 650 c.p.): arresto fino a tre mesi o ammenda fino a € 206;

–     falsità ideologica commessa dal privato in atti pubblici (art. 483 c.p.): reclusione fino a due anni;

–     falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale (art. 495 c.p.): reclusione da uno a sei anni;

Se contagia una o più persone (secondoché l’azione sia ritenuta sorretta da colpa o da dolo):

–     lesioni colpose (art. 590 c.p.): la reclusione, a seconda della durata della malattia e delle conseguenze, può arrivare fino a due anni (tre se il fatto accade violando le norme sulla sicurezza del lavoro); può raggiungere i cinque anni, se vi sono più vittime;

–     lesioni volontarie (artt. 582 e/o 583 c.p.): la reclusione – di base – può arrivare fino a tre anni; può giungere a sette in casi più gravi e perfino a dodici, se vi sono più vittime.

Se chi viene contagiato muore:

–     omicidio colposo (art. 589 c.p.): la reclusione – di base – può arrivare fino a cinque anni (fino a dieci, se avviene nell’esercizio abusivo della professione sanitaria); fino a quindici anni, se muoiono più persone;

–     omicidio volontario (art. 575 c.p.): la reclusione può partire da ventuno anni e arrivare all’ergastolo.

#iorestoacasa

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