Author: Avv. Marco Micheli

il POST: cosa rischia chi viola i decreti sul coronavirus.

Anche riprende l’articolo in cui l’avvocato Marco Micheli analizza la normativa di emergenza anti-covid-19.

Cosa rischia chi viola i decreti sul coronavirus

Dopo il nuovo decreto del presidente del Consiglio dell’11 marzo, sul sito del governo è stata pubblicata una pagina che contiene le risposte alle domande frequenti sulle restrizioni agli spostamenti e agli assembramenti per contenere la diffusione del coronavirus (SARS-CoV-2). La pagina viene costantemente aggiornata per chiarire i vari dubbi e spiega, in sostanza, cosa non si può fare, cosa si può fare e come. E spiega anche quali sono le sanzioni in caso di violazione.

Mancato rispetto di obblighi e raccomandazioni
Il mancato rispetto delle misure previste dal decreto è punito secondo quanto previsto dall’articolo 650 del codice penale, che si intitola “Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità” e dice:

«Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206».

Le misure di contenimento prevedono però tre diverse ipotesi, come si spiega qui: il «divieto assoluto di mobilità» vale solo per i soggetti in quarantena o risultati positivi. Per gli altri non si parla esplicitamente di «divieto», ma si dice di «evitare ogni spostamento» salvo quelli motivati. Infine c’è una terza categoria di soggetti: quelli con un’infezione respiratoria e febbre superiore a 37,5 °C, ai quali si raccomanda «fortemente» di rimanere nel proprio domicilio.

Per tutte e tre le indicazioni (“divieto”, “evitare spostamenti” e “raccomandazioni”) è indicato un solo reato, ma questo potrebbe creare confusione nell’applicazione delle sanzioni previste.

Cosa succede?
Concretamente succede che polizia, carabinieri o vigili, una volta accertata la violazione di una disposizione imposta dall’autorità (uno spostamento non necessario, per esempio) dovranno redigere una relazione e trasmetterla alla procura della Repubblica, che aprirà un procedimento penale a carico della persona interessata. La sanzione sarà quindi stabilita da un giudice alla fine di un processo, in caso di condanna.

Attenzione: non è in alcun modo previsto il pagamento di una multa direttamente alle forze dell’ordine al momento in cui queste fermano la persona. Se una persona viene fermata e accusata di aver violato l’articolo 650 non riceverà un verbale che contiene già la sanzione, né un “bollettino” per pagarla come per una multa per divieto di sosta.

Dopo aver indicato un avvocato di fiducia o aver fatto richiesta di un avvocato d’ufficio, al procedimento penale ci si potrà opporre chiedendo l’oblazione, quel rito alternativo al giudizio penale mediante il quale, con il pagamento allo Stato di una somma di denaro prestabilita, si estingue un particolare reato. Se la richiesta sarà accolta, il giudice potrà decidere di far pagare una somma pari alla metà del massimo della pena, cioè 103 euro. In questo modo si arriverà a una sentenza di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato. Quel procedimento penale non finirà sul proprio casellario giudiziale.

Nel caso in cui l’ammenda di 206 euro venga invece pagata senza fare opposizione, si andrà incontro automaticamente all’iscrizione nel casellario giudiziale. Per estinguere il reato, il giudice potrebbe anche concedere uno dei benefici previsti dagli articoli 163 (Sospensione condizionale della pena) e 175 (Non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale) del codice penale.

Ci possono essere alcune differenze tra regione e regione: la Lombardia, in un’ordinanza emanata sabato 21 marzo, ha previsto una sanzione amministrativa di 5.000 euro per chi non rispetterà il divieto di assembramento di più di due persone in pubblico.

False dichiarazioni
Gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, o motivi di salute devono essere attestate attraverso un modulo di autocertificazione.

Non averlo con sé non costituisce una violazione. Il modulo può essere stampato e compilato a casa, ma chi non può farlo non si deve preoccupare: in caso di eventuale controllo, il modulo verrà fornito dalle forze dell’ordine e lo si potrà compilare sul momento, spiegando le ragioni del proprio spostamento. Come ha spiegato la polizia postale in un comunicato, non vanno usati servizi non ufficiali e non autorizzati per compilare l’autocertificazione e ottenerne una versione digitale.

Le dichiarazioni sul modulo rilasciato al pubblico ufficiale (e che hanno a che fare con la propria identità o con le motivazioni dello spostamento) devono essere veritiere, altrimenti si commette un reato. Come spiega l’avvocato penalista Marco Micheli:

  • attestare in modo falso di doversi spostare per giustificati motivi che in realtà sono insussistenti, integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atti pubblici (articolo 483 del codice penale). La pena prevista è la reclusione fino a due anni.
  • se la falsa dichiarazione riguarda la propria identità, il reato è di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale (articolo 495 del codice penale). La pena prevista è la reclusione da uno a sei anni.

La veridicità dell’autodichiarazione potrà essere verificata anche con successivi controlli, si dice, anche se non è chiaro come.

Mancata quarantena
Nel nuovo modulo di autocertificazione è stata inserita una voce che chiede esplicitamente alla persona di dichiarare di «non essere sottoposto alla misura della quarantena e di non essere risultato positivo al virus Covid-19» (COVID-19 è in realtà la malattia, provocata dal virus SARS-CoV-2). Qualche giorno fa il Corriere della Sera scriveva che chi mente su questo punto può essere denunciato «per procurata epidemia». Lo stesso articolo 650 del codice penale fa poi riferimento esplicito ai “più gravi reati” tra i quali potrebbe rientrare, appunto, quello previsto dall’articolo 438 (epidemia) o dall’articolo 452 (delitti colposi contro la salute pubblica) del codice penale.

L’avvocato Marco Micheli ha però fatto qualche precisazione, in proposito: il nostro codice penale prevede l’epidemia dolosa (articolo 438) e i delitti colposi contro la salute pubblica (articolo 452), due reati introdotti nel 1930 per punire nei contesti di guerra o terrorismo la diffusione di germi patogeni.

L’epidemia dolosa punisce con l’ergastolo chi volontariamente «cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni»: si parla di una diffusione intenzionale su portata di massa. I delitti colposi contro la salute pubblica possono essere puniti con la reclusione da uno a cinque anni per chi causa l’epidemia non volontariamente, ma con colpa, cioè per negligenza, imprudenza o imperizia.

Ora: chi ha sintomi e non si mette in quarantena o chi nasconde di essere positivo e contravviene alle regole di isolamento domiciliare e quarantena e contagia una o più persone, può essere accusato di procurata epidemia? L’avvocato spiega che per capire se siamo di fronte a questi gravi delitti «bisogna valutare la portata quantitativa del pericolo innescato dalla condotta del soggetto. Cioè verificare se vi sia stato un comportamento capace di diffondere il morbo a un “numero indeterminato e notevole di persone” e in tempo ristretto». La sua risposta è no, perché non ci si trova di fronte alla «diffusibilità» di cui parlano i giudici. Ma la persona in questione potrebbe comunque doverne rispondere in un processo.

Secondo Micheli, «siamo quindi assai distanti dal caso del contagiato da coronavirus che, consapevole del suo stato di salute, cammina per strada e, fermato dalla polizia per un controllo, dichiara di essere sano». Dello stesso parere è il Sole 24 Ore, che scrive: «Ci sembra improbabile che ad una singola persona sia contestato uno dei delitti colposi contro la pubblica incolumità. Anche in via del tutto astratta, infatti, pare difficile sostenere che un soggetto isolato, per quanto imprudente, sia da sé solo in grado di mettere in pericolo una platea indeterminata di persone. Allo stesso modo, riteniamo di escludere che possa essere contestato il reato di epidemia che punisce chiunque la cagiona mediante la diffusione di germi patogeni. La giurisprudenza, infatti, ha sempre negato la configurabilità di questi reati nella condotta di chi “semplicemente”, sapendosi affetto da male contagioso, continui a circolare magari anche diffondendo la malattia».

Ci sono comunque altri reati molto gravi di cui si può rendere colpevole chi ha sintomi e non si mette in quarantena o chi nasconde di essere positivo e contravviene alle regole di isolamento domiciliare e quarantena e contagia una o più persone. Il rischio – a seconda che l’azione sia per colpa o per dolo – è l’imputazione per lesioni colpose (fino a cinque anni di carcere se ci sono più vittime) o per lesioni volontarie (fino a dodici anni in caso di più vittime). Se chi viene contagiato dalla persona che non ha rispettato l’isolamento muore, le imputazioni saranno per omicidio colposo (fino a quindici anni, se muoiono più persone) e per omicidio volontario (da ventuno anni all’ergastolo).

Attività
L’ultimo decreto prevede la chiusura, fino al 25 marzo, sul territorio nazionale, di tutte le attività di ristorazione e di tutti i negozi, tranne quelli delle categorie espressamente previste. La violazione di questi obblighi da parte dei gestori di pubblici esercizi o di attività commerciali, spiega il sito del governo, è sanzionata con la chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni.

Coronavirus: ecco quando commettiamo un reato (o più di uno)

Dalla semplice contravvenzione all’omicidio volontario: lo spettro dei reati connessi a una condotta imprudente ai tempi della CoViD-19 è più ampio e profondo di quanto si possa immaginare. Vediamo di fare un po’ di ordine.

Il 15 marzo 2020 il Governo ha formulato le linee guida per la corretta applicazione delle disposizioni anti epidemia Coronavirus e per rispondere alle “domande frequenti sulle misure adottate” (http://www.governo.it/it/faq-iorestoacasa).

In effetti, le regole di comportamento sono stringenti.

Uscire di casa è consentito solo per ragioni determinate, ossia

–      per recarsi al lavoro (è però raccomandato lavorare a distanza, ove possibile, o prendere ferie o congedi);

–      per motivi di salute (a esempio, sottoporsi a controlli e visite mediche);

–      per necessità (fare la spesa, acquistare giornali, andare in farmacia o comunque acquistare beni necessari per la vita quotidiana).

Può uscire di casa il genitore separato/divorziato, quando deve raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario oppure quando deve portarli con sé (secondo le modalità previste dal Giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio).

È permesso anche uscire:

–      per gettare i rifiuti, seguendo le regole in vigore in ogni Comune;

–      per consentire al proprio animale da compagnia di espletare le sue esigenze fisiologiche;

–      per portare gli animali domestici dal veterinario (le esigenze devono essere urgenti; vanno rinviati controlli di routine).

In caso di controlli, dovrà essere fornita all’Autorità che ne faccia richiesta la giustificazione per lo spostamento che si sta effettuando. Questa potrà essere fatta nelle forme dell’autocertificazione (artt. 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445), il cui modulo è reperibile a questo link:

https://www.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/modulo-autodichiarazione-17.3.2020.pdf

Chi, all’atto del controllo, ne è sprovvisto, potrà compilarlo in presenza del pubblico ufficiale.

L’attività sportiva all’aperto è consentita, purché non in gruppo. Va precisato che tutti gli spostamenti sono comunque soggetti al divieto di assembramento. Sarà sempre rispettata la distanza minima di sicurezza di 1 metro. E’ fortemente raccomandato a coloro che manifestano sintomi compatibili con il virus o che hanno la febbre oltre 37,5 ° C di restare presso il proprio domicilio e di limitare al massimo i contatti sociali. A chi è sottoposto alla misura della quarantena o ha contratto il virus è fatto divieto assoluto di uscire.

Queste, in estrema sintesi, le regole di condotta a cui dobbiamo attenerci.

Se non le osserviamo commettiamo dei reati.

Il mancato rispetto degli obblighi e dei divieti imposti dalle Autorità (in primis, Governo, Regione, Comune, Province autonome) con i provvedimenti adottati per fronteggiare l’emergenza da COVID-19 integra il reato di “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità” (art. 650 c.p.).

Si tratta di una contravvenzione penale per cui è previsto l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 euro.

In sostanza, l’Autorità (Polizia, Carabinieri, Vigili Urbani, etc.), accertata l’avvenuta violazione di questi provvedimenti, dovrà redigere una relazione (in cui descriverà il fatto e identificherà il responsabile) e poi dovrà trasmetterla alla Procura della Repubblica (comunicazione della notizia di reato). La Procura instaurerà un procedimento penale a carico della persona interessata.

Per sgombrare il campo dai dubbi ingenerati da messaggi audio ampiamente diffusi negli ultimi giorni, va detto che la legge non ammette pagamenti di ammende alla Polizia o ad altre Forze dell’Ordine (tantomeno all’atto in cui queste rilevano l’infrazione). La pena può essere irrogata solo da un Giudice nel contesto di un processo penale.

La contravvenzione di cui stiamo parlando (art. 650 c.p.) può essere definita tramite oblazione (art. 162 bis c.p.); in estrema sintesi, il Giudice, ove ritenga che ne sussistano le condizioni di legge, può ammettere il contravventore a pagare la somma di € 103 (pari alla metà del massimo dell’ammenda che, come detto, è di € 206), oltre alle spese del procedimento. Per tal via, si giunge a una sentenza di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato.

Possono anche essere commessi reati all’atto del rilascio delle autocertificazioni giustificative dello spostamento.

Le dichiarazioni mendaci rilasciate a un pubblico ufficiale integrano i reati di falso.

In particolare, attestare falsamente di doversi spostare per giustificati motivi (di salute, per esigenze lavorative o per necessità), in realtà insussistenti, integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atti pubblici (art. 483 c.p.). La pena prevista è la reclusione sino a due anni.

Se la falsa dichiarazione riguarda la propria identità, si incorrerà nel delitto di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale (art. 495 c.p.), per il quale è prevista la reclusione da uno a sei anni.

In astratto, vi sono altri reati da considerare.

Prendiamo il caso di chi, in presenza di febbre, tosse e altri sintomi associati al COVID-19, sia convinto di non esserne affetto quando invece lo è, e perciò continui normalmente – in maniera negligente e imprudente – a frequentare altre persone (a esempio, nell’ambiente di lavoro).

Bene, se qualcuno – a causa sua – venisse contagiato e sviluppasse la malattia, sarebbe integrato il reato di lesioni colpose (art. 590 c.p.) o, addirittura, quello di omicidio colposo (art. 589 c.p.) se l’ammalato morisse.

Per le lesioni colpose è prevista la pena della reclusione sino a sei mesi o la multa fino a € 309. Per l’omicidio colposo la reclusione da sei mesi a cinque anni.

In entrambi i casi, per il datore di lavoro le pene possono aumentare se il contagio avviene nell’ambiente di lavoro per la mancata adozione di adeguate cautele di prevenzione.

Ipotesi ben più grave è quella di chi, pur sapendo di aver contratto il virus COVID-19, celasse il suo stato di salute e decidesse di non rispettare la quarantena, accettando il rischio di contagiare altre persone. Ora, se qualcuno, a causa di questo scellerato comportamento si ammalasse o addirittura morisse, risulterebbero integrati i reati dolosi di lesioni volontarie (art. 582 c.p.) o di omicidio volontario (art. 575 c.p.). E le pene si alzano nettamente.

Sin qui abbiamo parlato dei reati e delle astratte previsioni di legge. Certo, l’effettività della sanzione è un discorso a parte. Nulla esclude, però, che in sede giudiziale, per l’eccezionalità della situazione, vengano adottati criteri di rigore e di severità. Ciò che davvero conta è comprendere il senso delle norme e l’importanza che per tutti ha rispettarle.

#iorestoacasa

PERCHÉ CHI VIOLA LA QUARANTENA NON PUÒ ESSERE ACCUSATO DI “PROCURATA EPIDEMIA”

In questi giorni, a fronte della richiesta di una stretta sui controlli per chi viola la quarantena ed è ammalato di coronavirus, si è parlato della possibilità di denuncia per un reato molto grave: procurata epidemia. Qui spieghiamo come non sia giuridicamente ammissibile.

La Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha chiesto alla Polizia e ai Prefetti di tutta Italia “una nuova stretta sui controlli di chi viene sorpreso in strada e non può giustificarsi”. Il contagiato che “mente” dichiarando di “non essere in quarantena” potrebbe essere denunciato per “procurata epidemia che prevede fino a 12 anni di carcere” (tra l’altro, https://www.corriere.it/cronache/20_marzo_17/punizioni-piu-severeper-chi-continua-uscire-a7b30752-6892-11ea-9725-c592292e4a85.shtml).

Vengono dunque evocate figure di reato gravissime, punibili con pene astronomiche.

Facciamo un po’ di chiarezza.

Il nostro codice penale prevede due delitti: l’Epidemia dolosa (art. 438 c.p.) e l’Epidemia colposa (art. 452 c.p.).

Si tratta di due reati introdotti nel 1930 (che non c’erano cioè nel Codice Zanardelli) per sanzionare severamente attacchi di natura bellica o terroristica realizzati diffondendo germi patogeni (all’epoca, l’evoluzione scientifica aveva per la prima volta portato a disciplinare queste ipotesi con la legge penale).

Si comprende la durezza delle pene previste.

Il primo delitto, l’Epidemia dolosa (art. 438 c.p.) punisce con l’ergastolo chi volontariamente “cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni” (ossia microorganismi capaci di produrre patologie infettive). In origine, era stabilita la pena di morte se per il contagio morivano almeno due persone.

E’ il caso classico della diffusione intenzionale della malattia – su portata di massa – mediante azioni di guerra o di terrorismo. Quindi nulla a che vedere con quanto accade in questi giorni.

Il secondo delitto, l’Epidemia colposa (art. 452 c.p.) punisce con la reclusione da uno a cinque anni chi causa l’epidemia non volontariamente, ma con colpa, dunque per negligenza, imprudenza o imperizia (il riferimento alla pena di 12 anni di reclusione, riportato dai mass media, è errato; si tratta di una norma di legge abrogata insieme all’abolizione della pena di morte nel lontano 1944).

Qui rientrano certamente i casi di errata gestione dei germi da parte dei soggetti che sono legittimati a trattarli, come le imprese farmaceutiche. Un esempio classico è quando si violano le regole specifiche nel trattamento di un microorganismo patogeno e così si scatena l’epidemia o la si rafforza. Di fatto, agli operatori sfugge qualcosa per negligenza.

In definitiva, per capire se siamo di fronte a questi gravi delitti (Epidemia dolosa o colposa), bisogna valutare la portata quantitativa del pericolo innescato dalla condotta del soggetto. Cioè verificare se vi sia stato un comportamento capace di diffondere il morbo a un “numero indeterminato e notevole di persone” e in tempo ristretto (Cassazione Sezione IV penale, Sentenza n. 9133 del 28.2.2018, udienza del 12.12.2017; Tribunale di Savona, 6.2.2008, in Rivista Penale, 2008, 6, 671). La giurisprudenza usa il termine “diffusibilità”.

Siamo quindi assai distanti dal caso del contagiato da Covid-19 che, consapevole del suo stato di salute, cammina per strada e, fermato dalla Polizia per un controllo, dichiara di essere sano. Si tratta, in concreto, di un comportamento che non ha la “diffusibilità” di cui parlano i Giudici.

Egli incorrerà in altri reati.

Se non contagia nessuno:

–     inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità (art. 650 c.p.): arresto fino a tre mesi o ammenda fino a € 206;

–     falsità ideologica commessa dal privato in atti pubblici (art. 483 c.p.): reclusione fino a due anni;

–     falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale (art. 495 c.p.): reclusione da uno a sei anni;

Se contagia una o più persone (secondoché l’azione sia ritenuta sorretta da colpa o da dolo):

–     lesioni colpose (art. 590 c.p.): la reclusione, a seconda della durata della malattia e delle conseguenze, può arrivare fino a due anni (tre se il fatto accade violando le norme sulla sicurezza del lavoro); può raggiungere i cinque anni, se vi sono più vittime;

–     lesioni volontarie (artt. 582 e/o 583 c.p.): la reclusione – di base – può arrivare fino a tre anni; può giungere a sette in casi più gravi e perfino a dodici, se vi sono più vittime.

Se chi viene contagiato muore:

–     omicidio colposo (art. 589 c.p.): la reclusione – di base – può arrivare fino a cinque anni (fino a dieci, se avviene nell’esercizio abusivo della professione sanitaria); fino a quindici anni, se muoiono più persone;

–     omicidio volontario (art. 575 c.p.): la reclusione può partire da ventuno anni e arrivare all’ergastolo.

#iorestoacasa

Emergenza Coronavirus: genitori o parenti anziani, come comportarsi.

In questi giorni le misure urgenti per la lotta al COVID-19 si sono inasprite.

Nella pioggia dei provvedimenti normativi (Decreti Governativi e Ministeriali, Ordinanze Regionali, etc.), cerco di rispondere a una domanda che mi viene posta con gran frequenza: sono consentiti gli spostamenti per raggiungere genitori parenti anziani?

La disciplina è diversa secondoché si tratti di spostamenti nel Comune in cui si abita tra Comuni diversi.

Nel primo caso (nello stesso Comune), andare a trovare qualcuno è consentito solo se vi è una situazione di necessità o per motivi di salute (art. 1, comma 1, lett. a, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2020 e art. 1 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 marzo 2020).

Dunque, è legittimo recarsi da genitori, parenti, amici o persone che non siano in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze quotidiane di vita, al fine di aiutarle a soddisfare i propri bisogni (a es., fare la spesa, acquistare farmaci, giornali, strumenti per provvedere all’igiene personale).

Ritengo che rientrino nella necessità anche gli aiuti di tipo umano o psicologico, sempre che vi sia una concreta ragione di disagio (http://disabilita.governo.it/it/notizie/nuovo-coronavirus-domande-frequenti-sulle-misure-per-le-persone-con-disabilita/).

Ovviamente, sono sempre leciti gli spostamenti effettuati per consentire a chi ne ha bisogno di sottoporsi a visite mediche o a controlli sanitari (motivi di salute).

Nel secondo caso (spostamenti da Comune a Comune), stando alla lettera normativa (art. 1, comma 1, lett. b, Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 marzo 2020), l’asticella della necessità si alza e occorre una situazione di assoluta urgenza.

Al momento questa categoria, tanto generica, non è ancora stata spiegata nel dettaglio.

Un criterio interpretativo proposto dal Viminale (http://disabilita.governo.it/it/notizie/nuovo-coronavirus-domande-frequenti-sulle-misure-per-le-persone-con-disabilita/) mi porta a pensare che essa, rispetto alla necessità, sia caratterizzata dalla impossibilità assoluta di avvalersi di soluzioni alternative (per es., un genitore non può essere aiutato da un figlio che risiede in un Comune diverso, il giorno in cui l’altro figlio residente nel suo Comune può occuparsene).

Certo è che con questa differenza di disciplina si intendono restringere notevolmente i casi in cui, anche in presenza di situazioni di necessità, si possano effettuare gli spostamenti da un Comune all’altro.

Su questo, come su tanti altri temi, restiamo in attesa di precisazioni dal Governo.

A ogni modo, lo spostamento deve essere sempre autocertificato, seguendo il nuovo modello di autodichiarazione: https://www.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/nuovo_modello_autodichiarazione_23.03.2020_compilabile.pdf.

E non dimentichiamo mai di rispettare le regole di distanziamento sociale

#iorestoacasa